Immaginate, durante la stagione autunnale, di voler addolcire il sapore della vostra domenica sera. Castagne, vin brule, o magari una cioccolata calda? Noi vi proponiamo qualcosa di diverso, e forse di più speciale: quale occasione migliore per gustarsi i borlenghi, se non nella terra in cui sono nati?
Nelle nostre serate “le domeniche dei borlenghi” vi proponiamo di gustare questa tipica ricetta emiliana ma amata da tutti, proprio perché capace di coniugare il sapore alla tradizione. Come alcuni dei piatti più apprezzati, i loro ingredienti sono pochi e poveri, ma capaci di arricchire il gusto di chi li assaggia; Bastano, infatti, farina acqua e sale per preparare il ‘burlengo’ o ‘zampanella’, per poi farcirlo con battuto di lardo ed erbe aromatiche.
La semplicità di questo piatto lo rende appetibile a tutti, dai bambini agli adulti, che da secoli continuano a gustarsi il cibo ‘più tipico’ fra i cibi tipici. Servito molto caldo, ripiegato in quattro e condito con la “cunza” (un battuto di pancetta, lardo, aglio e rosmarino) il borlengo racchiude tutti i sapori forti della terra modenese.
Sebbene sia impossibile definire una ricetta e un modo di preparazione univoco per i borlenghi, è però possibile tentare una distinzione tra due tipologie di borlengo in base al tipo di padella in cui vengono cotti, corrispondenti a distinte zone geografiche.
Ciò che passa alla storia ha, quasi sempre, delle curiosità o delle storiche radici curiose che le persone amano scoprire, raccontare e ricordare. Questo perché un piatto, specialmente quando diventa un simbolo, non si limita al gusto, ma arriva a raggiungere anche la storia e la tradizione di chi lo cucina e di chi lo apprezza.
La datazione più antica (e probabilmente la storia reale della nascita del borlengo) risale al 1266 a Guiglia, durante l’assedio del castello di Montevallaro da parte delle truppe guelfe modenesi della famiglia degli Algani. I difensori del paese,la famiglia dei Grasolfi, sarebbero riusciti a resistere per lungo tempo grazie a delle grandi ostie di farina ed acqua impastate, cotte ed insaporite da erbe, prima di arrendersi il 4 luglio.
Con il protrarsi dell’assedio la farina scarseggiava sempre di più, e le ostie divenivano sempre più piccole e sottili, quasi trasparenti: vennero quindi “degradate” dal rango di cibo a quello di “burla”, o “burlengo”, da cui il termine odierno.
Altri, invece, leggono la storia dei borlenghi in chiave più ironica: si racconta di una massaia che, intenta a preparare le crescentine, dovette fare i conti con un impasto che risultò troppo liquido rispetto a ciò di cui aveva bisogno. Decise perciò di cuocerlo come una crepe; Secondo altri, invece, i borlenghi prendono il nome dal fatto che venissero mangiati a carnevale: la burla è, infatti, lo scherzo!